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AGM Information Apr 10, 2018

4448_rns_2018-04-10_b252a4b1-34c7-4870-a484-7a6187b4f034.pdf

AGM Information

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Prof. Avv. Giuseppe Portale Ordinario em. di Diritto commerciale nell'Università Cattolica di Milano

Avv. Luca Purpura

Prof. Avv. Claudio Frigeni Associato di Diritto commerciale nell'Università Cattolica di Piacenza

Avv. Antonio Cacciato

Avv. Massimo Gruppioni

Avv. Manuel Portale

Avv. Marco Castegnaro

Dott. Francesco Arlati

Prof. Avv. Antonio Cetra - Of Counsel Ordinario di Diritto commerciale nell'Università Cattolica di Milano

PARERE PRO-VERITATE

IN TEMA DI INTEGRAZIONE DELL'O.D.G. DI ASSEMBLEA DI SOCIETÀ QUOTATA DA

PARTE DEL COLLEGIO SINDACALE

SOMMARIO: 1. Fatto. - 2. Quesito. - 3. La necessità di procedere al rinnovo integrale del Consiglio di Amministrazione e la conseguente inammissibilità dell'integrazione dell'ordine del giorno disposta dal Collegio Sindacale. - 4. La clausola simul stabunt simul cadent contenuta nello Statuto di TIM e l'impossibilità di una delibera di revoca di amministratori già cessati. - 5. L'insussistenza di un potere/dovere del Collegio Sindacale di dare corso alla integrazione dell'ordine del giorno dell'assemblea del 24 aprile 2018 ex art. 126bis del T.u.f. - 6. Conclusioni.

  1. Fatto. - In data 14 marzo 2018 Elliot International LP, Elliot Associates LP e The Liverpool Limited Partnership, al tempo titolari complessivamente di una partecipazione pari al 2,53% delle azioni di TIM S.p.A. (di seguito, anche «TIM» o la «Società»), presentavano ai sensi dell'art. 126-bis T.u.f. una richiesta di integrazione dell'ordine del

IINEO

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giorno dell'Assemblea dei soci, convocata con avviso del 10 marzo 2018 per il successivo 24 aprile 2018. La richiesta in questione, nel dettaglio, prevedeva l'aggiunta delle seguenti materie da sottoporre all'approvazione dei soci: (i) "revoca di 6 Amministratori nelle persone dei Signori Arnaud Roy de Puyfontaine, Hervè Philippe, Fredéric Crépin, Giuseppe Recbchi, Félicité Herzog e Anna Jones"; (ii) "nomina di 6 Amministratori nelle persone dei Signori Fulvio Conti, Massimo Ferrari, Paola Giannotti De Ponti, Luigi Gubitosi, Dante Roscini e Rocco Sabelli, in sostituzione di quelli revocati ai sensi del precedente punto all'ordine del giorno".

Il 22 marzo 2018, attraverso un apposito comunicato-stampa, la Società rendeva noto al mercato che, nel corso del Consiglio di Amministrazione riunitosi nella medesima giornata, avevano dato le proprie dimissioni il Vice Presidente Esecutivo Recchi, con effetto immediato, e i consiglieri Arnoud Roy de Puyfontaine, Hervè Philippe, Fredéric Crépin, Félicité Herzog, Camilla Antonini e Marella Moretti, con decorrenza dal giorno 24 aprile 2018 prima dello svolgimento dell'Assemblea. Inoltre, veniva dato atto che nella stessa data analoga comunicazione era stata fatta pervenire alla Società dal consigliere Anna Jones.

Sempre secondo quanto reso noto nel riferito comunicato-stampa, preso atto delle intervenute dimissioni di un totale di otto consiglieri su un totale di quindici, il Consiglio di Amministrazione, in considerazione del tenore della clausola 9.10 dello Statuto di TIM – la quale stabilisce che "ogni qualvolta la maggioranza dei componenti il Consiglio di Amministrazione venga meno per qualsiasi causa o ragione, i

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restanti Consiglieri si intendono dimissionari e la loro cessazione ha effetto dal momento in cui il Consiglio di Amministrazione è stato ricostituito per nomina assembleare" - deliberava di convocare l'Assemblea della Società per il 4 maggio 2018 al fine di procedere all'integrale rinnovo dell'organo amministrativo medesimo. Al contempo, il Consiglio decideva di non procedere alla integrazione dell'ordine del giorno dell'Assemblea del 24 aprile 2018 richiesta dai soci istanti, relativa alla revoca e alla sostituzione dei Consiglieri de Puyfontaine, Crépin, Herzog, Jones, Philippe e Recchi, in ragione del fatto che questi ultimi "alla data [dell'Assemblea del 24 aprile] saranno tutti dimissionari e cessati".

Il giorno seguente, 23 marzo 2018, gli stessi soci Elliot International LP, Elliot Associates LP e The Liverpool Limited Partnership presentavano, tramite lettera diretta al Collegio Sindacale della Società, una seconda richiesta ex art. 126-bis T.u.f. di integrazione dell'ordine del giorno dell'Assemblea del 24 aprile 2018, così formulata: "(i) revoca di amministratori (nella misura necessaria in funzione della cronologia delle dimissioni intervenute nel corso della riunione consiliare del 22 marzo u.s. ai sensi dell'articolo 2385, primo comma, cod. civ.) e (ii) nomina di 6 Amministratori nelle persone dei Signori Fulvio Conti, Massimo Ferrari, Paola Giannotti De Ponti, Luigi Gubitosi, Dante Roscini e Rocco Sabelli, in sostituzione dei Signori Arnaud Roy de Puyfontaine, Hervè Philippe, Fredéric Crépin, Giuseppe Recchi, Félicité Herzog e Anna Jones".

A seguito di quest'ultima istanza, in data 27 marzo 2018 il Collegio Sindacale decideva all'unanimità di provvedere, ai sensi dell'art. 126comma 5, T.u.f., all'integrazione dell'ordine del giorno bis,

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dell'Assemblea del 24 aprile 2018 nei termini indicati nella richiesta fatta pervenire dai soci istanti.

  1. Quesito. – In relazione a quanto sopra indicato, viene richiesto da parte di TIM S.p.A. di esprimere un parere pro-veritate sul seguente quesito: "se l'integrazione dell'ordine del giorno dell'Assemblea dei soci di TIM S.p.A. convocata per il giorno 24 aprile 2018 e disposta dal Collegio Sindacale della stessa Società su richiesta dei soci Elliot International LP, Elliot Associates LP e The Liverpool Limited Partnership, sia conforme alla legge e allo Statuto di TIM".

  2. La necessità di procedere al rinnovo integrale del Consiglio di Amministrazione e la conseguente inammissibilità dell'integrazione dell'ordine del giorno disposta dal Collegio Sindacale. - Secondo quanto si è avuto modo di rappresentare in sede di esposizione del fatto, dei componenti del Consiglio di Amministrazione di TIM uno risulta essersi dimesso in data 22 marzo 2018 con effetto immediato (l'ing. Giuseppe Recchi), mentre altri sette (i consiglieri de Puyfontaine, Philippe, Crépin, Herzog, Antonini, Moretti, Jones) si sono dimessi in data 22 marzo con effetto dal momento prima dell'Assemblea del 24 aprile 2018.

Le intervenute dimissioni da parte di otto dei quindici consiglieri di amministrazione di TIM determinano, senza ombra di dubbio, l'applicazione della clausola simul stabunt simul cadent prevista dall'art. 9.10 dello Statuto della Società.

Detta clausola, infatti, collega al venire meno della maggioranza degli amministratori "per qualsiasi causa o ragione" le virtuali dimissioni "dei restanti Consiglieri". L'ampiezza della locuzione "per qualsiasi causa

o ragione" fuga ogni interrogativo in merito al fatto che rientri nell'ambito applicativo della disposizione statutaria l'ipotesi di "dimissioni della maggioranza": ipotesi che senz'altro vi è ricompresa, trattandosi peraltro - in una prospettiva ex ante (quella propria del redattore di qualsivoglia statuto) – del caso più frequente di cessazione dalla carica prima della naturale scadenza del mandato, espungendo il quale sfumerebbero persino il senso e la concreta portata della medesima clausola (che sarebbe destinata ad operare, contro la sua stessa ratio, in ipotesi rare).

Ne discende che, per effetto delle dimissioni della maggioranza degli amministratori di TIM, anche gli altri amministratori sono da intendersi, in base all'art. 9.10 dello Statuto, "dimissionari", con conseguente necessità di procedere al rinnovo dell'organo amministrativo. Si tratta, del resto, dello specifico scopo che perseguono le clausole simul stabunt simul cadent, le quali, in deroga a quanto previsto dalla disciplina legale in materia di sostituzione degli amministratori, in corrispondenza della cessazione di un certo numero di consiglieri precludono la possibilità di procedere a una sostituzione parziale e impongono di procedere ex novo alla elezione dell'intero consiglio di amministrazione1. In questo modo, si intende assicurare piena applicazione alla disciplina prevista in materia di nomina e, in particolare, in presenza di speciali regole per l'elezione

<sup>1 Sulla ratio della clausola simul stabunt simul cadent e sulla decadenza integrale dell'organo amministrativo, quale sua propria conseguenza, si vedano, L. DELLA TOMMASINA, sub art. 2385 c.c., in Delle società - Dell'azienda - Della concorrenza, Artt. 2379 - 2451, a cura di D.U. Santosuosso, in Commentario del codice civile. diretto da E. Gabrielli, UTET, 2015, p. 219 s.; B. LIBONATI, Corso di diritto commerciale, Giuffrè, 2009, p. 430.

dell'organo amministrativo (come, ad esempio, nel caso in cui sia previsto il voto di lista), tutelare l'interesse a che la relativa composizione non venga snaturata per circostanze sopravvenute in corso di mandato e sia in ogni momento allineata all'assetto che lo statuto ha inteso realizzare2.

Al riguardo, è appena il caso di osservare che nell'ambito delle società quotate le regole in materia di composizione del consiglio di amministrazione devono conformarsi a specifiche prescrizioni di legge che impongono, tra l'altro, di prevedere il voto di lista e di garantire l'elezione nell'organo amministrativo di almeno un componente tratto da una lista diversa da quella che abbia ottenuto la maggioranza dei voti (art. 147-ter T.u.f.)3. Ciò, sulla base dell'idea per cui la partecipazione di esponenti tratti da liste di minoranza, più che

<sup>2 Per la sottolineatura del collegamento tra la previsione di speciali regole per l'elezione dell'organo amministrativo volte ad assicurare la rappresentatività alle minoranze azionarie e la presenza nello statuto di una clausola simul stabunt simul cadent, quale strumento teso ad evitare l'aggiramento di tali regole, si vedano: G. CASELLI, Vicende del rapporto di amministrazione, in Amministratori -Direttore generale, in Trattato delle società per azioni, diretto da E. Colombo e G.B. Portale, UTET, 1999, p. 42, nota 157; F. BONELLI, Gli amministratori di società per azioni, Giuffrè, 1985, p. 58, nonché più di recente, ex multis, F. GHEZZI, sub art. 2386 c.c., in Amministratori, a cura di F. Ghezzi, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti - L.A. Bianchi - F. Ghezzi - M. Notari, Egea, 2005, p. 266.

<sup>3 Sottolinea l'importanza della regola in questione M. STELLA RICHTER ir., Voto di lista per la elezione delle cariche sociali e legittimazione dell'organo amministrativo alla presentazione di candidati, in Studi per Franco Di Sabato, IV, t. II, ESI, 2009, p. 533, p. 535, il quale evidenzia come la previsione del voto di lista comporti necessariamente che la deliberazione sia sulla nomina dell'intero organo sociale, non sui singoli componenti, aprendo così la strada alla previsione di sistemi elettorali non maggioritari "che solo attraverso la contemporanea elezione di tutto il collegio può garantirsi uno o più posti a candidati tratti da liste, «di minoranza»". In tema, cfr. anche, da ultimo, M. CERA, Le società con azioni quotate nei mercati, Giuffrè, 2018, p. 99 ss.

essere diretta ad accordare una rappresentanza consiliare a uno specifico azionista, tende ad assicurare – al pari della previsione che impone la presenza di un certo numero di consiglieri indipendenti e di quella che richiede il rispetto di quote di genere – il corretto ed efficace funzionamento delle dinamiche consiliari delle società quotate, favorendo l'allineamento dell'interesse sociale con l'interesse degli azionisti investitori e, più a monte, l'interesse generale a che il mercato funzioni correttamente4. Nel caso di TIM, peraltro, tale istanza trova riconoscimento in maniera particolarmente penetrante, posto che lo Statuto, per un verso, si spinge a riservare un terzo del totale dei componenti del consiglio alle liste diverse da quella che abbia ottenuto la maggioranza dei voti (cfr. art. 9.7, lett. a, Statuto TIM) e, per altro verso, prevede che, in presenza di più liste di minoranza, la rappresentanza in consiglio sia ripartita proporzionalmente tra le stesse (cfr. art. 9.7, lett. b, Statuto TIM).

$\ldots$ . . . .

<sup>4 In questi esatti termini cfr. A. MAZZONI, Gli azionisti di minoranza nella riforma delle società quotate, in Giur. comm., 1998, I, p. 488, il quale, pur scrivendo in un momento storico nel quale ancora non era previsto l'obbligo di prevedere la partecipazione di almeno un amministratore di minoranza tramite il voto di lista, già aveva avuto modo di rilevare che la stessa avrebbe avuto l'effetto di facilitare l'ingresso di "soggetti tendenzialmente portatori dell'interesse sociale, quale percepito e avuto di mira dagli azionisti di minoranza nel senso sopra detto" [i.e. in qualità di azionisti investitori, a tutela del corretto funzionamento del mercato] (a p. 491). Per considerazioni analoghe, R. COSTI, Il governo delle società quotate: tra ordinamento dei mercati e diritto delle società, in Dir. comm. int., 1998, p. 65 ss., spec. p. 76; M. COSSU, Le «minoranze azionarie» nell'evoluzione legislativa: dalle origini al Testo unico sulla Finanza, in Riv. dir. priv., 2001, p. 119, la quale sottolinea come l'obiettivo della tutela dell'integrità e della trasparenza dei mercati e quello della tutela degli azionisti di minoranza delle società quotate formano oggetto di una "considerazione unitaria" da parte del legislatore ponendosi in un rapporto di complementarietà.

La previsione della regola simul stabunt simul cadent contenuta nell'art. 9.10 dello Statuto di TIM risulta, allora, funzionale non solo a prevenire che la composizione del consiglio di amministrazione possa assumere, in concreto, per circostanze verificatesi in corso di mandato, un assetto diverso da quello che lo Statuto ha ritenuto di disegnare, ma si mostra pure diretta ad assicurare piena applicazione alle regole inderogabili, poste a tutela di interessi generali, che presidiano le modalità di elezione dell'organo amministrativo di società quotate5.

Su questi presupposti, appare evidente che l'integrazione dell'ordine del giorno che il Collegio Sindacale ha ritenuto di potere disporre, dando spazio a una ipotesi di delibera avente ad oggetto la sostituzione (previa revoca) solo di parte dei consiglieri, espone un chiaro disallineamento (e contrasto) rispetto a quanto lo Statuto di TIM impone anche al fine di assicurare piena applicazione alla disciplina normativa imperativa in materia di società quotate: vale a dire, per l'appunto, la nomina di un nuovo organo amministrativo, nel suo intero e senza frazionamenti di sorta.

Se la conclusione raggiunta si mostra davvero difficilmente revocabile in discussione, essa resta comunque ferma anche ipotizzando uno scenario diverso, che assecondi la linea – ad avviso

<sup>5 Nel senso che la previsione di una clausola simul stabunt simul cadent nell'ambito delle società quotate sia diretta a "rafforzare la coerenza delle finalità del disposto dell'art. 147-ter co. 1 e 3", si veda, in particolare, M. STELLA RICHTER jr., sub art. 147-ter T.u.f., in Le società per azioni, diretto da P. Abbadessa, G.B. Portale, II, Giuffrè, 2016, p. 4204; nello stesso senso, v. già M. NOTARI e M. STELLA RICHTER jr., Adeguamenti statutari e voto a scrutinio segreto nella legge sul risparmio, in Società, 2006, p. 535; A. NEGRI - CLEMENTI e F.M. FEDERICI, La "sostituzione" degli amministratori di società quotate cessati in corso di mandato: voto di lista, principio maggioritario, in Società, 2011, p. 197.

di chi scrive non perseguibile – che sembra essere seguita dal Collegio Sindacale. Vale la pena rammentare ancora che, nella fattispecie:

  • un amministratore di TIM si è dimesso con effetto immediato il 22 marzo;

  • cinque amministratori di TIM si sono dimessi il 22 marzo con rinunzia ancora inefficace, e di essi è stato chiesto di potersi deliberare la revoca:

altri due amministratori di TIM si sono dimessi sempre il 22 marzo con dimissioni ancora inefficaci e di essi non è stata chiesta la revoca.

Se ne avrebbe, all'esito dell'eventuale votazione sull'ordine del giorno integrato come da richiesta assecondata dal Collegio Sindacale (ed in particolare: all'esito di votazione sulla revoca dei consiglieri per i quali ciò è stato chiesto), che:

  • tre amministratori di TIM si sarebbero comunque dimessi;

  • altri cinque amministratori di TIM sarebbero anch'essi dimissionari o revocati.

Si vede bene, quindi, che per effetto vuoi di dimissioni, vuoi di revoca (anch'essa costituendo, senz'altro, ipotesi ascrivibile al venir meno della carica "per qualsiasi causa o ragione" di cui all'art. 9.10 dello Statuto: clausola simul stabunt simul cadent), decadrebbe comunque la maggioranza del Consiglio: e si attiverebbe in ogni caso, per l'appunto, la richiamata clausola. Con conseguente necessità, anche seguendo questa impostazione, di procedere inderogabilmente al rinnovo integrale dello stesso organo di gestione, senza spazio alcuno per forme di sostituzione parziale come quella prefigurata

dall'integrazione dell'ordine del giorno che il Collegio Sindacale ha ritenuto di potere disporre.

Il risultato al quale si perverrebbe, dunque, in sostanza, è sempre il medesimo, non potendosi naturalmente pensare – si puntualizza solo per scrupolo estremo – che, a impedire l'attivarsi della più volte evocata clausola simul stabunt simul cadent, possa essere la semplice sostituzione, contestuale alla revoca, degli amministratori che fossero giustappunto revocati. Oltre al vizio logico che un simile modo di ragionare evidentemente palesa - dovendosi necessariamente riconoscere che, per quanto contestuale, la revoca sarebbe per definizione destinata a operare prima della nomina -, a escludere in radice la possibilità di seguire un simile percorso argomentativo è il fatto che esso si tradurrebbe in una sostanziale, e persino dichiarata, elusione di una clausola diretta ad assicurare piena applicazione alle regole statutarie in materia di composizione dell'organo amministrativo, peraltro a loro volta conformate alla speciale disciplina prevista per le società quotate e, per tale ragione, poste a presidio anche di interessi di carattere generale.

Bene ha fatto, pertanto, il Consiglio di Amministrazione di TIM a prendere sì in esame la richiesta di integrazione dell'ordine del giorno formulata dai soci istanti, determinandosi tuttavia - in ragione delle intervenute dimissioni della maggioranza dei suoi componenti -, a non assecondarla, e convocando apposita assemblea dei soci, in tempi brevi, per il rinnovo integrale del Consiglio di Amministrazione. Si tratta, a ben vedere, di atto semplicemente dovuto e non rinviabile, che consente la sostituzione integrale dell'organo di gestione con

applicazione – piena: e piana – delle disposizioni di legge e di Statuto che garantiscono il corretto assetto, funzionamento ed equilibrio dello stesso organo: al di là di interessi ed intenzioni di singoli azionisti. La ricomposizione dell'intero Consiglio di Amministrazione può così $a$ avvenire – come dovuto – in un unico contesto, secondo le regole del voto di lista e nell'osservanza della disciplina applicabile particolarmente qualificata, come visto, nel caso di TIM per via delle peculiari disposizioni del suo Statuto consentendo $\overline{\phantom{a}}$ il raggiungimento del più corretto equilibrio tra maggioranza, minoranza, rapporti di genere, partecipazione agli organi sociali da parte di soggetti indipendenti. Si tratta di elementi che qualificano e caratterizzano, tutti in termini essenziali e peculiari, la composizione dell'organo di gestione di una società quotata e che sarebbero semplicemente conculcati da - comunque, nella fattispecie, inammissibili - sostituzioni parziali e frazionate del Consiglio di Amministrazione.

  1. La clausola simul stabunt simul cadent contenuta nello Statuto di TIM e l'impossibilità di una delibera di revoca di amministratori già cessati. – Se quanto fin qui esposto ha già, per sé, carattere assorbente, va aggiunto – per completezza – che l'integrazione dell'ordine del giorno che il Collegio Sindacale ha ritenuto di potere disporre si espone a obiezioni, in punto di conformità a legge e Statuto, anche sotto altro profilo. Si vede bene, infatti, che l'ordine del giorno dell'Assemblea del 24 aprile, come modificato per via di detta integrazione, postulerebbe la revoca di amministratori che hanno già dichiarato di dimettersi con efficacia alla data del 24 aprile 2018, prima

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dell'Assemblea: la revoca, per essere possibile, presuppone quindi – nella visione del Collegio Sindacale – che detti amministratori siano ancora in carica nel corso dell'Assemblea del 24 aprile. Di diverso avviso si è dimostrato il Consiglio di Amministrazione di TIM, che ha ritenuto che al momento dell'apertura dell'Assemblea del 24 aprile gli amministratori dimissionari dei quali i soci istanti vorrebbero la revoca saranno già cessati in virtù delle dimissioni come da essi testualmente formulate: la revoca sarebbe "impossibile" (essendo priva di oggetto) e, anche per questo, la richiesta di integrazione dell'ordine del giorno non potrebbe essere accolta.

La posizione assunta dal Consiglio di Amministrazione trova effettivamente conferma, già in prima battuta, nel tenore della clausola dell'art. 9.10 dello Statuto di TIM: clausola che espressamente ricollega il differimento della cessazione dalla carica al momento della ricostituzione del Consiglio di Amministrazione esclusivamente agli amministratori non dimissionari (: agli amministratori che non siano venuti meno "per qualsiasi causa o ragione"), così lasciando ben intendere che gli altri amministratori (quelli che danno causa all'attivazione del meccanismo simul stabunt simul cadent) cessano subito.

E' ben noto, agli estensori di questo Parere, che - in punto astratto - non sussiste unanimità di vedute, tra gli interpreti, in merito al rapporto tra l'art. 2385, comma 1, c.c., nella parte in cui dispone la prorogatio degli amministratori che rinunzino alla carica qualora non rimanga in carica la maggioranza del consiglio, e l'art. 2386, comma 4, c.c., nella parte in cui riferisce in ogni caso ai soli amministratori

"rimasti in carica" il compito di convocare in via d'urgenza l'Assemblea per il rinnovo dell'intero consiglio. In particolare, vale la pena di rammentare, si contrappongono al riguardo, fondamentalmente, due orientamenti.

In base a una prima linea di pensiero, qualsivoglia clausola che implichi l'operatività del meccanismo simul stabunt simul cadent richiamato dall'art. 2386, comma 4, c.c., porterebbe con sé - proprio in virtù del testo di detta norma (e del riferimento che essa opera al potere/dovere dei soli amministratori "rimasti in carica" di convocare l'Assemblea) – la disapplicazione integrale dell'art. 2385, comma 1, c.c. e dunque della regola di prorogatio da esso sancita per il caso di rinunzia al mandato là dove non rimanga in carica la maggioranza degli amministratori6. È ben chiaro che seguendo detta chiave ermeneutica – senz'altro tranciante nelle sue conclusioni – se ne avrebbe, nel caso di specie e con sicurezza granitica, che al momento dell'Assemblea del 24 aprile 2018 gli amministratori dei quali i soci istanti hanno postulato una delibera di revoca non sarebbero più in carica: la revoca sarebbe, pertanto, "impossibile".

Secondo altra corrente interpretativa, tuttavia, la lettura testé esposta peccherebbe per eccesso, sopravvalutando il dato letterale della disposizione dell'art. 2386, comma 4, c.c., che dovrebbe invece

$\mathcal{V}$

<sup>6 F. FERRARA jr., F. CORSI, Gli imprenditori e le società15, Giuffrè, 2011, p. 552; B. LIBONATI, Corso di diritto commerciale, loc. ult. cit.; F. GALGANO - R. GENGHINI, Il nuovo diritto societario, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, diretto da F. Galgano, I, Cedam, 2006, p. 436; F. GHEZZI, sub art. 2386 c.c., cit., p. 274; Circolare Assonime n. 18/2005, in Riv. Soc., 2005, p. 899; G. TROISE, sub art. 2386 c.c., in La riforma delle società, Società per azioni - società in accomandita per azioni, Artt. 2325 - 2422 cod. civ., a cura di M. Sandulli e V. Santoro, I, Giappichelli, 2003, p. 434.

essere ritenuto neutrale rispetto all'applicazione delle regole generali sulla efficacia delle cause di cessazione dalla carica ed in particolare delle regole stabilite dall'art. 2385, comma 1, c.c. in relazione al momento di efficacia della rinuncia al mandato7. La previsione di una clausola simul stabunt simul cadent idonea ad evocare il meccanismo sotteso alla formulazione dell'art. 2386, comma 4, c.c. non implicherebbe da quest'angolo visuale - sempre e solo di per sé - una deroga alla sospensione degli effetti della rinunzia della maggioranza degli amministratori, dovendosi piuttosto indagare, volta per volta, il contenuto della singola clausola e il modo in cui essa eventualmente si esprima e deponga con riferimento agli effetti della causa di cessazione, non essendovi, peraltro, particolari dubbi sul carattere dispositivo della disciplina di cui all'art. 2385, comma 1, c.c.8. Vale la pena di specificare, a quest'ultimo riguardo, che la prorogatio degli

<sup>7 Si veda, in tal senso, P.M. SANFILIPPO, Gli amministratori, in Diritto commerciale, a cura di M. Cian, II, Giappichelli, 2017, p. 482, nota 114; ID., sub art. 2386 c.c., in Le società per azioni, diretto da P. Abbadessa, G.B. Portale, I, cit., p. 1276. In giurisprudenza, v. Trib. Lucca, 4 dicembre 2012, in www.iusexplorer.it.

8 Si presta ad essere letta in tal senso - senza essere di per sé espressiva di un principio di inderogabilità della regola di prorogatio di cui all'art. 2385, comma 1, c.c. – anche la sentenza Tribunale di Milano 10 giugno 2008 (reperibile in Foro Pad., 2010, 150, con nota di V. SANTARSIERE), che mostra di ancorare le sue conclusioni, nella sostanza, al tenore specifico della clausola simul stabunt simul cadent che veniva nel caso in considerazione: clausola che, per quanto è dato ritrarre dalla pronuncia, non disallineava il momento di cessazione degli amministratori dimissionari da quello degli altri amministratori. Lo stesso è a dirsi - non potendo neppure da ciò trarsi indicazioni circa principi di "inderogabilità" che non hanno ragion d'essere - con riguardo alla Massima dei Notai del Triveneto "H.C.9", che, lungi dal prendere posizione sul punto della imperatività della prorogatio di cui all' art. 2385, comma 1, c.c., fornisce invece indicazioni su quale possa essere il momento di cessazione di singoli amministratori in presenza di clausole simul stabunt simul cadent, facendo astrazione (come naturale, giusto il contesto) dal tenore vario che esse possono concretamente e liberamente assumere.

amministratori dimissionari, qualora non rimanga in carica la maggioranza del consiglio, non rappresenta senz'altro un "principio inderogabile", essendo al contrario pienamente disponibile all'autonomia statutaria. Detta derogabilità trova oggi conferma, quando servisse, proprio e anzitutto, nell'art. 2386, commi 4 e 5, c.c., che nel sancire, nel contesto successivo alla riforma del diritto societario del 2003, la piena legittimità del meccanismo simul stabunt simul cadent, lasciano all'autonomia statutaria di modulare contenuti e termini di clausole che introducono, strutturalmente, significative variazioni nei meccanismi di cessazione e (ri)nomina dell'organo di gestione9. Già in tempi non recenti (ben prima, in verità, della riforma del diritto societario) è stato del resto, autorevolmente, affermato che "potrebbe anche darsi che gli statuti contenenti la clausola simul stabunt simul cadent [adottino], in relazione ad essa, norme diverse per quel che riguarda la decorrenza degli effetti delle dimissioni degli amministratori (di tutti; di quelli di maggioranza, effettivi dimissionari; di quelli di minoranza, travolti dalle dimissioni dei primi)"10. Non v'è ragione – vale, semmai, l'opposto – per discostarsi, oggi, da tale insegnamento.

<sup>9 L'espresso riconoscimento normativo della facoltà statutaria di affidare la convocazione dell'assemblea al collegio sindacale, con conseguente cessazione immediata degli amministratori, costituisce, in effetti, indice inequivocabile della derogabilità del disposto dell'art. 2385 c.c.: in questo senso v. M. LANDINI, sub artt. 2385 - 2386, in Il nuovo diritto delle società, a cura di A. Maffei Alberti, Cedam, 2005, I, p. 713, nonché, P.M. SANFILIPPO, sub art. 2385 c.c., in Le società per azioni, diretto da P. Abbadessa, G.B. Portale, I, cit., p. 1276.

<sup>10 Così, A. DALMARTELLO, Validità o invalidità della clausola «simul stabunt, simul cadent» nella nomina degli amministratori di società per azioni, in Dir. fall., 1956, II. p. 155. In questo senso, v. anche, G. MINERVINI, Gli amministratori di società per azioni, Giuffrè, 1956, p. 480 ss.; più di recente, P.M. SANFILIPPO, sub art. 2385 c.c., cit., p. 1268; L. DELLA TOMMASINA, sub art. 2385 c.c., cit., p. 221; F. GHEZZI, sub art. 2386 c.c., cit., p. 270.

Guardando, pertanto, allo specifico tenore letterale della clausola contenuta all'art. 9.10 dello Statuto di TIM ("Ogni qualvolta la maggioranza dei componenti del Consiglio di Amministrazione venga meno per qualsiasi causa o ragione, i restanti Consiglieri si intendono dimissionari e la loro cessazione ha effetto dal momento in cui il Consiglio di Amministrazione è stato ricostituito per nomina assembleare") si vede bene come essa distingua in modo chiaro: da un lato, la maggioranza dei consiglieri che siano venuti meno per qualsiasi causa o ragione; dall'altro, i restanti consiglieri che si intendono dimissionari. Solo per questi ultimi la clausola prevede che la cessazione abbia effetto dal momento in cui il consiglio di amministrazione sia ricostituito per nomina assembleare. Gli altri, nell'ottica della clausola e con effetto evidentemente voluto, invece cessano.

Si desume quindi in modo chiaro, da detta disposizione statutaria, che a rimanere in carica, anche a seguito delle dimissioni della maggioranza degli amministratori, sono solo i componenti del Consiglio ai quali non si riferisca la causa di cessazione. L'efficacia delle dimissioni "reali" (della maggioranza) degli amministratori che le abbiano formulate è immediata, mentre quella delle dimissioni "virtuali" degli altri amministratori è differita sino alla ricostituzione dell'organo.

In conclusione, anche seguendo la linea teorica da ultimo considerata, e valorizzando – come giusto e ragionevole – il tenore testuale della clausola contenuta all'art. 9.10 dello Statuto di TIM, si perviene al risultato di ritenere gli amministratori che hanno rassegnato le loro dimissioni già cessati dalla carica al momento

dell'Assemblea del 24 aprile 2018. E un amministratore già cessato non può, per definizione, essere revocato, costituendo un'eventuale delibera al riguardo una delibera - come si è anticipato - con oggetto "impossibile" e rappresentando l'integrazione di un ordine del giorno che voglia consentire l'assunzione di una simile delibera il presupposto di un atto "impossibile", dunque da rigettarsi semplicemente in quanto tale.

Non può rimarcarsi, peraltro, che gli stessi soci istanti sembrano essere consapevoli della "impossibilità" di revocare amministratori già cessati: se è vero, come è vero, che essi hanno ritenuto di dover emendare la prima formulazione della richiesta di integrazione una volta constatata l'impossibilità di procedere alla revoca del consigliere Recchi, in quanto già cessato dalla carica a seguito delle proprie dimissioni.

  1. L'insussistenza di un potere/dovere del Collegio Sindacale di dare corso alla integrazione dell'ordine del giorno dell'assemblea del 24 aprile 2018 ex art. 126-bis del T.u.f. – Dopo le considerazioni che precedono, resta da chiedersi, per completezza e al vertice, se in presenza delle circostanze fattuali di cui si è dato conto più indietro il Collegio Sindacale fosse effettivamente legittimato a procedere, come ha fatto, a una coattiva integrazione dell'ordine del giorno, assecondando la richiesta formulata dai soci istanti.

E', questo, un aspetto che si intende qui analizzare a prescindere dalle valutazioni sopra operate con riferimento ai profili di merito riguardanti la legittimità e possibilità giuridica per l'Assemblea dei soci di pronunciarsi sulle "materie" per le quali il Collegio Sindacale

ha ritenuto di poter disporre l'integrazione dell'ordine del giorno dell'Assemblea del 24 aprile 2018.

Al riguardo, sorvolando sulla circostanza - in verità non obliterabile: e rilevante - che i soci istanti hanno presentato due distinte e non coincidenti richieste di integrazione dell'ordine del giorno e che la seconda di esse – quella accolta dal Collegio Sindacale – è stata presentata fuori tempo massimo, c'è ancora altro da notare.

Deve precisamente evidenziarsi che l'art. 126-bis, comma 5, T.u.f. collega espressamente l'intervento sostitutivo del collegio sindacale a una situazione di "inerzia" o, al limite, di "rifiuto ingiustificato" (della istanza di integrazione presentata da soci che dispongano delle aliquote di capitale a ciò necessarie) da parte del consiglio di amministrazione (vale la pena di ritrascrivere il testo di detta disposizione: "se l'organo di amministrazione, ovvero, in caso di inerzia di questo, il collegio sindacale, o il consiglio di sorveglianza o il comitato per il controllo sulla gestione, non provvedono all'integrazione dell'ordine del giorno con le nuove materie o proposte presentate ai sensi della comma 1, il tribunale, sentiti i componenti degli organi di amministrazione e di controllo, ove il rifiuto di provvedere risulti ingiustificato, ordina con decreto l'integrazione. Il decreto è pubblicato con le modalità prevista dall'art. 125ter, comma 1").

Nella fattispecie non pare proprio che il Consiglio di Amministrazione di TIM sia rimasto "inerte": la richiesta formulata dai soci istanti è stata fatta oggetto di disamina e valutazione nell'ambito di una seduta consiliare il cui esito è stato portato tempestivamente a conoscenza del pubblico. Tanto meno, poi, il

Consiglio di Amministrazione di TIM ha opposto un rifiuto carente di giustificazione: la richiesta dei soci istanti, opportunamente vagliata, non è stata assecondata sulla scorta di motivazioni chiare ed espresse, la cui ragionevolezza e giustificazione risulta confermata dalle considerazioni svolte nell'ambito del presente Parere.

Non si vede, quindi, su quale base possa risultare fondato, nell'ipotesi in esame, l'intervento sostitutivo del Collegio Sindacale.

E' chiaro, del resto, che un consiglio di amministrazione dispone senz'altro di un margine di valutazione nell'esame delle richieste che riceva ai sensi dell'art. 126-bis del T.u.f. (non diversamente da quant'è per le richieste ai sensi dell'art. 2367 c.c.)11, a ciò ricollegandosi il fatto che la stessa Autorità Giudiziaria può provvedere sulle istanze dei soci richiedenti, sovrapponendosi e sostituendosi alla valutazione degli organi sociali, esclusivamente in caso di omissione o rifiuto ingiustificato dei competenti organi sociali (nella graduazione articolata dallo stesso art. 126-bis, comma 5, T.u.f.), con obbligo di

<sup>11 Sul potere (e il dovere) per gli amministratori di prendere posizione, e conseguentemente anche di opporre un giustificato rifiuto là dove necessario, dinanzi a una richiesta ex art. 126-bis T.u.f., v.: R. SACCHI, L'informazione nella e per la assemblea delle società quotate, in AGE, 2013, p. 113; R. GUIDOTTI, sub art. 126bis T.u.f., in Commentario T.u.f., a cura di F. Vella, Giappichelli, 2012, p. 1367; P. MONTALENTI, La Direttiva azionisti e l'informazione preassembleare, in Giur. comm., 2011, I, p. 688. Nello stesso senso, con riferimento alla richiesta ex art. 2367 c.c., si vedano F. MAGLIULO, sub art. 2367 c.c., in Commentario romano al nuovo diritto delle società, diretto da F. D'Alessandro, I, Piccin, 2010, p. 589 s.; P. MARCHETTI, sub art. 2367, in Assemblea, a cura di A. Picciau, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti - L.A. Bianchi - F. Ghezzi - M. Notari, Egea, 2008, p. 76 s., il quale giunge alle medesime conclusioni in merito all'art. 126-bis T.u.f. alla successiva p. 78; P. FIORIO, sub art. 2367 c.c., in Il nuovo diritto societario, diretto da G. Cottino, I, Zanichelli, 2004, p. 514.

sentire prima gli amministratori (e i componenti dell'organo di controllo).

Certamente, rientra nell'ambito della verifica che un consiglio di amministrazione non solo può, ma deve operare prima di dare accoglimento a una richiesta (ex art. 126-bis T.u.f., come ex art. 2367 c.c.) la valutazione circa il fatto che l'argomento proposto – oltre a non essere uno di quelli per i quali è direttamente escluso dalla legge l'accesso in assemblea di proposte direttamente formulate dai soci non sostanzi una delibera potenzialmente illegittima: vuoi perché estranea all'ambito di competenza assembleare, vuoi perché avente come nel caso di specie – oggetto impossibile (o illecito)12.

Tanto il Consiglio di Amministrazione di TIM ha fatto nel caso di specie; con il che, l'intervento sostitutivo al quale il Collegio Sindacale ha ritenuto di potere dare corso si mostra, invero, privo di giustificazione e fondamento.

E vale la pena aggiungere che la conclusione appena raggiunta resterebbe ferma anche qualora si volesse accedere all'idea per cui al

<sup>12 In dottrina, anche gli Autori che hanno espresso un approccio più restrittivo rispetto all'ampiezza dei margini di discrezionalità degli amministratori (dinanzi a una richiesta ex art. 126-bis T.u.f. come ex art. 2367 c.c.), non hanno dubbi sul potere di questi ultimi di rigettare richieste aventi un oggetto impossibile (o illecito); v. al riguardo: N. DE LUCA, sub art. 2367 c.c., in Le società per azioni, diretto da P. Abbadessa, G.B. Portale, I, cit., p. 904; A. TUCCI, sub art. 126-bis T.u.f., in Le società per azioni, diretto da P. Abbadessa, G.B. Portale, II, cit., p. 3909; M. LIBERTINI-A. MIRONE-P.M. SANFILIPPO, L'assemblea di società per azioni, Giuffrè, 2016, p. 135; A. TUCCI, sub art. 2367 c.c., in Delle società - Dell'azienda -Della concorrenza, Artt. 2247-2378, a cura di D.U. Santosuosso, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, cit., p. 1553; M. CAMPOBASSO, Diritto commerciale. 2. Diritto delle società, UTET, 2012, p. 317; A. SERRA, Il procedimento assembleare, in Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, II, 2006, p. 46. Nello stesso senso, in giurisprudenza, Trib. Milano, 2 aprile 2016, in Giur. comm., 2016, II, p. 1038.

collegio sindacale - al fine dell'esercizio dei suoi poteri sostitutivi sarebbe dato di entrare, in ipotesi limite, nel merito delle considerazioni poste dal consiglio di amministrazione alla base di una decisione di "rigetto" di istanze avanzate dai soci. La possibilità di prospettare siffatta prerogativa non può che rimanere confinata, infatti, a ipotesi di manifesta abusività o infondatezza delle ragioni addotte dal consiglio di amministrazione (circostanze che, nel caso di specie, non ricorrono, quale che sia lo scenario e a qualunque tesi giuridica si voglia mai accedere). Andare oltre, riconoscendo al collegio sindacale il potere di intervenire in via generale e di sostituire la propria valutazione a quella dell'organo amministrativo per il sol fatto di non condividere gli argomenti esposti dall'organo di amministrazione, significherebbe, in buona sostanza, assegnare all'organo di controllo una primazia, nei rapporti tra organi sociali, della quale non si rinviene alcun fondamento positivo.

Del resto – e a contenere subito ogni infondato timore circa le implicazioni che derivano dal circoscrivere lo "spazio di potere" spettante a ciascun organo - vale la pena di ricordare che l'organo di controllo di una società (tanto più se quotata) vanta pregnanti prerogative che lo mettono in condizione di reagire opportunamente a quanto esso pure "non condivida" (senza per questo invadere ambiti che non gli competono). Basti ricordare, che il collegio sindacale può e deve, davvero ex multis, impugnare le delibere consiliari che ritenga (anche per proprio autonomo convincimento) non conformi a legge o a statuto (art. 2388 c.c.), convocare autonomamente l'Assemblea dei soci, quanto meno qualora ravvisi fatti censurabili di rilevante gravità

e vi sia urgenza di provvedere (art. 151 T.u.f. e art. 2406 c.c.), comunicare senza indugio a Consob le irregolarità che riscontri nella sua attività di vigilanza (art. 149 T.u.f.), ed ancora presentare al Tribunale la denunzia di gravi irregolarità nella gestione quando abbia fondato sospetto che esse ricorrano (art. 2409 c.c. e art. 152 T.u.f.).

  1. Conclusioni. – Tirando le fila del discorso, può rispondersi al quesito posto concludendo nel senso che l'integrazione dell'ordine del giorno dell'Assemblea dei soci di TIM S.p.A. convocata per il giorno 24 aprile 2018 e disposta dal Collegio Sindacale della stessa Società su richiesta dei soci Elliot International LP, Elliot Associates LP e The Liverpool Limited Partnership, per tutte le ragioni esposte, non risulta conforme alla legge e allo Statuto di TIM.

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Ringraziando per la fiducia accordata al nostro Studio, restiamo a disposizione per ogni ulteriore chiarimento dovesse rendersi necessario e porgiamo i migliori saluti.

Milano, 9 aprile 2018

Prof. Avv. Claudio Frigeni

ıca Purpura

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