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Telecom Italia Rsp

AGM Information Apr 10, 2018

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AGM Information

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GATTI PAVESI BIANCHI Studio Legale Associato Piazza Borromeo, 8 20123 - Milano [email protected]

AVV. PROF. ANDREA ZOPPINI Piazza di Spagna, 15 00187 - Roma [email protected]

NOTA DI SINTESI

PER IL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE DI TIM S.P.A. DEL 9 APRILE 2018

  1. LA VICENDA

  2. (i) in data 14 marzo 2018, i soci Elliott International LP, Elliott Associates LP e The Liverpool Limited Partnership (i "Soci Richiedenti") hanno richiesto l'integrazione dell'ordine del giorno (la "Richiesta") dell'Assemblea di Telecom Italia S.p.A. ("TIM"), già convocata per il giorno 24 aprile 2018 (l'"Assemblea");

  3. (ii) in data 22 marzo 2018, il Consiglio di Amministrazione di TIM ha preso atto delle dimissioni dell'Ing.. Giuseppe Recchi con decorrenza immediata. Nel contesto del medesimo CdA, hanno rassegnato le proprie dimissioni – con decorrenza dal giorno 24 aprile 2018, prima dello svolgimento dell'Assemblea – altri 7 consiglieri (il Presidente Arnaud de Puyfontaine, nonché i consiglieri Camilla Antonini, Frédéric Crépin, Felicité Hervé Philippe, Anna Jones), risultando così Marella Moretti, Herzog, complessivamente dimissionari 8 consiglieri su 15;
  4. (iii) nell'ambito della riunione del 22 marzo 2018, in applicazione dell'art. 9.10 dello Statuto, il CdA ha pertanto convocato per il giorno 4 maggio 2018 un'ulteriore assemblea avente ad oggetto il rinnovo dell'organo consiliare, senza dunque procedere all'integrazione dell'ordine del giorno dell'Assemblea;
  5. (iv) in data 23 marzo 2018, i Soci Richiedenti hanno richiesto al Collegio sindacale di TIM (il "CS") di procedere, in sostituzione del CdA, all'integrazione dell'ordine del giorno dell'Assemblea, formulando tuttavia una richiesta diversa dalla precedente (v. punto (v) che segue);
  6. (v) in data 27 marzo 2018 il CS, accogliendo le richieste dei Soci Richiedenti, ha deciso di provvedere, ai sensi dell'art. 126-bis, comma 5, TUF, all'integrazione dell'ordine del giorno dell'Assemblea nei seguenti termini: "(i) revoca di amministratori (nella misura necessaria in funzione della cronologia delle dimissioni intervenute nel corso della riunione consiliare del 22 marzo 2018 ai sensi dell'art. 2385, primo comma, cod. civ.) e (ii) nomina di sei amministratori nelle persone dei Signori Fulvio Conti, Massimo Ferrari, Paola Giannotti De Ponti, Luigi Gubitosi, Dante Roscini e Rocco Sabelli, in sostituzione dei cessati Signori Arnaud

Roy de Puyfontaine, Hervè Philippe, Frédéric Crépin, Giuseppe Recchi, Félicité Herzog e Anna Jones." (la "Delibera").

L'ILLEGITTIMITÀ DELLA DELIBERA: SINTESI DELLE CONCLUSIONI $\mathcal{D}$ .

La Delibera deve ritenersi illegittima ed invalida per una pluralità di ragioni, le principali delle quali vengono riassunte di seguito.

2.1. LA MANCANZA DI "INERZIA" DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE DI TIM: INSUSSISTENZA DEI PRESUPPOSTI EX ART. 126-BIS TUF

In primo luogo, la Delibera è illegittima e invalida in quanto non ricorrono i presupposti di cui all'art. 126-bis TUF per l'intervento del CS.

La legge prevede, infatti, che il Collegio Sindacale possa sostituirsi al CdA nella decisione relativa alla integrazione dell'ordine del giorno soltanto in caso di "inerzia" da parte dell'organo amministrativo nell'accoglimento delle richieste di integrazione presentate dai soci. L'"inerzia" si verifica nel caso di mancata decisione da parte del CdA. Non invece nel caso in cui una decisione motivata vi sia, ma il Collegio Sindacale sia dissenziente rispetto ad essa, come è accaduto nel caso della Delibera.

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Del resto, e lo riconosce anche il CS, è pacifico che il Consiglio di Amministrazione possa decidere di non integrare l'ordine del giorno a fronte di richieste di inserire all'OdG assembleare delibere "illecite, impossibili o inutili" (cfr. richiesta CS del 30 marzo 2018, p. 3). E ciò è proprio quanto accaduto nel caso di specie. Il Consiglio di amministrazione di TIM ha assunto una (motivata) decisione con riguardo alle richieste di Elliott. Infatti, avendo preso atto delle dimissioni della maggioranza dei suoi componenti e della conseguente necessità di rinominare l'intero Consiglio, ha deliberato di non integrare l'OdG dell'Assemblea e di convocare, per contro, per il giorno 4 maggio 2018 un'adunanza assembleare ad hoc per la nomina del nuovo Consiglio di TIM, il tutto in conformità a quanto prescritto dalla legge e dallo Statuto di TIM,

Alla luce di quanto precede, si ricava che, il CdA non è stato inerte, ma ha invece assunto una specifica e motivata decisione (pur di segno diverso da quella ritenuta corretta dal CS) sul punto. L'assenza di inerzia rende la Delibera illegittima perché assunta in assenza dei presupposti dell'art. 126-bis TUF; il CS, pertanto, ha assunto una delibera che esorbita dai proprio poteri, non ricorrendo i presupposti dell'art. 126-bis TUF.

2.2. INTEGRAZIONE DELLA RICHIESTA OLTRE I TERMINI PREVISTI DALL'ART. 126-BIS TUF

In secondo luogo, la Delibera è illegittima e invalida in quanto si basa su di una richiesta tardiva di integrazione dell'ordine del giorno dell'Assemblea, relativa a un ordine del giorno non coincidente rispetto a quello contenuto nell'originaria richiesta di integrazione.

La (seconda) richiesta di Elliott (che è poi quella accolta dal CS) è stata infatti presentata in data 23 marzo 2018, e quindi oltre i termini perentori previsti dalla legge (i.e. 10 giorni dalla data di pubblicazione dell'avviso di convocazione dell'Assemblea ex art. 126-bis, comma 1, TUF, che ha avuto luogo in data 10 marzo 2018).

2.3. LA VIOLAZIONE DELLA CLAUSOLA 9.10 DELLO STATUTO (C.D. SIMUL STABUNT SIMUL CADENT)

Una ulteriore, e se possibile, più grave ragione di invalidità della Delibera $2.3.1.$ risiede nel fatto che essa, ove confermata, potrebbe consentire, attraverso l'integrazione dell'OdG, di sottoporre al voto assembleare una modalità di nomina del CdA in contrasto con il regime previsto dall'art. 9.10 dello Statuto di TIM che prevede che "ogni qualvolta la maggioranza dei componenti il Consiglio di Amministrazione venga meno per qualsiasi causa o ragione, i restanti Consiglieri si intendono dimissionari e la loro cessazione ha effetto dal momento in cui il Consiglio di Amministrazione è stato ricostituito per nomina assembleare.".

La clausola, conosciuta come simul stabunt simul cadent, è pacificamente $2.3.2.$ ritenuta valida e legittima (cfr. art. 2386, comma 4, c.c.) e la stessa, laddove inserita nello Statuto di un emittente, impone l'applicazione di un regime speciale (in larga parte codificato) proprio per il caso della nomina dell'intero Consiglio di amministrazione (e non di una sua parte) ad esito del venir meno della maggioranza degli amministratori.

Giova, infatti, ricordare che, qualora lo Statuto di TIM non prevedesse una clausola come quella richiamata, in caso di dimissioni della maggioranza dei componenti il Consiglio di amministrazione, i dimissionari resterebbero in carica, sia pure in prorogatio, fino alla delibera dell'assemblea di ricostituzione: assemblea che, in questo caso, dovrebbe comunque venir convocata per la sostituzione dei soli amministratori dimissionari, come stabilisce l'art. 2386, comma 2, c.c.

In questo scenario, gli amministratori non dimissionari, non sarebbero 'travolti' dalla cessazione della maggioranza dei Consiglieri, ma resterebbero confermati nella carica senza necessità di alcuna delibera.

In definitiva, in assenza della clausola 9.10, le dimissioni della maggioranza dei consiglieri di

TIM non richiederebbero la nomina di un nuovo consiglio, ma solo la sostituzione dei dimissionari.

Lo scenario è invece radicalmente diverso nel caso in cui lo Statuto preveda - come nell'ipotesi in questione - una clausola simul stabunt simul cadent: una clausola, cioè, che preveda che "a seguito della cessazione di taluni amministratori cessi l'intero consiglio" (cfr. art. 2386, comma 4, c.c.).

Questo, come detto, è il caso di TIM nel cui Statuto è prevista una espressa clausola simul stabunt simul cadent: una clausola, cioè, di natura pattizia (avente forza di legge tra i soci di TIM e valore superiore a quella di qualunque altra disposizione, fatta unicamente eccezione per eventuali norme di legge imperative e non derogabili) in virtù della quale in caso di cessazione dalla carica "per qualsiasi causa o ragione" (incluse quindi le dimissioni, ma ovviamente anche la revoca) della maggioranza dei Consiglieri di amministrazione anche i restanti "si intendono dimissionari e la loro cessazione ha effetto dal momento in cui il Consiglio di Amministrazione è stato ricostituito per nomina assembleare".

In quest'ipotesi, l'art. 2386, comma 4, c.c. impone – in deroga al regime applicabile in assenza di una clausola simul stabunt simul cadent e in assenza, com'è nella specie, di disposizioni statutarie di segno diverso - che in caso di venir meno dell'intero Consiglio, sia lo stesso Consiglio (non il Collegio Sindacale) a convocare (addirittura "d'urgenza") l'assemblea per "la nomina del nuovo consiglio". Per la nomina, come si è detto, dell'intero consiglio e non di una sua parte.

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In altri termini (e per ragioni intuibili)(1) qualora venga meno per qualunque ragione la maggioranza degli amministratori, il Consiglio di Amministrazione deve (non semplicemente può) convocare l'assemblea non per una ricostituzione parziale dell'organo, ma per la nomina integrale.

E questo è quanto si è verificato nella specie.

Il CS sostiene, ciononostante, che si debba procedere ad una lettura coordinata $2.3.3.$ degli artt. 2385(2) e 2386(3) del codice civile nonché della clausola 9.10 dello Statuto. E su

(1) La clausola simul stabunt simul cadent applicata al venir meno della maggioranza dei componenti del CdA evita il rischio che, nel corso del tempo, la composizione del consiglio di amministrazione possa cambiare in maniera sostanziale rispetto alla sua originaria configurazione senza che possano operare i presidi (voto di lista) applicati in sede di originaria elezione dell'organo. Per la cronaca, esattamente ciò che potrebbe accadere nella specie ove si accedesse alle tesi del CS.

(2) Ai sensi dell'art. 2385 c.c. "[1]. L'amministratore che rinunzia all'ufficio deve darne comunicazione scritta al consiglio d'amministrazione e al presidente del collegio sindacale. La rinunzia ha effetto immediato, se rimane in carica la maggioranza del consiglio di amministrazione, o, in caso contrario, dal momento in cui la maggioranza del consiglio si è ricostituita in seguito all'accettazione dei nuovi amministratori.

questa base afferma che esisterebbero "espresse posizioni, sia in giurisprudenza (Tribunale di Milano) sia all'interno di autorevole dottrina scientifica e di massime notarili, idonee a supportare, alla luce della lettura coordinata degli art. 2385 e 2386 cod. civ., nonché della clausola 9.10 dello statuto sociale di TIM, la permanenza nella carica, anche successivamente alla data del 24 aprile 2018 (data di efficacia indicata nelle rispettive dimissioni) dei Consiglieri Arnaud Roy de Puyfontaine, Hervé Philippe, Frédéric Crépin, Félicité Hergoz, Anna Jones, Camilla Antonini e Marella Moretti".

L'assunto è che ai sensi dell'art. 2385, comma 1, c.c. la rinunzia degli amministratori che costituiscono la maggioranza del consiglio di amministrazione avrebbe effetto "dal momento in cui la maggioranza del consiglio si è ricostituita in seguito all'accettazione dei nuovi amministratori" e, quindi, le dimissioni espresse in occasione della riunione del Consiglio del 22 marzo 2018 e che hanno interessato la maggioranza dei membri del Consiglio non sarebbero efficaci alla data del 24 aprile p.v., ma sospese negli effetti fino alla ricostituzione del Consiglio.

Afferma anche che, per effetto di quelle stesse dismissioni, l'intero organo sarebbe dimissionario. Il concetto (quello delle integrali dimissioni del Consiglio per effetto dell'applicazione della clausola simul stabunt simul cadent) è ripetuto in più occasioni dal Collegio Sindacale, che dà atto che "alla data del 24 aprile 2018 verrà meno la maggioranza dei componenti del Consiglio di Amministrazione di TIM" e che in tale momento "tutto l'organo di amministrazione di TIM si dovrà intendere dimissionario". Ed ancora più avanti ripete che

[3]. La cessazione degli amministratori dall'ufficio per qualsiasi causa deve essere iscritta entro trenta giorni nel registro delle imprese a cura del collegio sindacale.".

(3) Ai sensi dell'art. 2386 c.c. "[1]. Se nel corso dell'esercizio vengono a mancare uno o più amministratori, gli altri provvedono a sostituirli con deliberazione approvata dal collegio sindacale, purché la maggioranza sia sempre costituita da amministratori nominati dall'assemblea. Gli amministratori così nominati restano in carica fino alla prossima assemblea.

[2]. Se viene meno la maggioranza degli amministratori nominati dall'assemblea, quelli rimasti in carica devono convocare l'assemblea perché provveda alla sostituzione dei mancanti.

[3]. Salvo diversa disposizione dello statuto o dell'assemblea, gli amministratori nominati ai sensi del comma precedente scadono insieme con quelli in carica all'atto della loro nomina.

[4]. Se particolari disposizioni dello statuto prevedono che a seguito della cessazione di taluni amministratori cessi l'intero consiglio, l'assemblea per la nomina del nuovo consiglio è convocata d'urgenza dagli amministratori rimasti in carica; lo statuto può tuttavia prevedere l'applicazione in tal caso di quanto disposto nel successivo comma.

[5]. Se vengono a cessare l'amministratore unico o tutti gli amministratori, l'assemblea per la nomina dell'amministratore o dell'intero consiglio deve essere convocata d'urgenza dal collegio sindacale, il quale può compiere nel frattempo gli atti di ordinaria amministrazione.".

[2]. La cessazione degli amministratori per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il consiglio di amministrazione è stato ricostituito.

"conseguentemente tutti i consiglieri (...) saranno sì dimissionari ma rimarranno in carica al momento della ricostituzione del Consiglio di Amministrazione".

Nonostante tale (per la verità incontrovertibile) constatazione, il Collegio Sindacale sostiene che la richiesta di nomina di (solo) 6 amministratori (la nomina, cioè, di un numero di amministratori inferiori ai dimissionari) "non appare né inutile né con oggetto impossibile (oltre che ovviamente non illecita).".

$2.3.4.$ In realtà queste affermazioni non possono essere condivise per svariate ragioni.

Prima di tutto, va chiarito che non vi sono precedenti giudiziari o orientamenti notarili che impongono le conclusioni raggiunte dal CS. Infatti, né il Tribunale di Milano del 10 giugno 2008 (Rel. Ciampi, Est. Fiecconi), né la massima del Consiglio Notarile del Triveneto n. H.C.9, ai quali sembra riferirsi il CS, stabiliscono un principio generale di inderogabilità dell'art. 2385 c.c.. Entrambi i precedenti, lungi dall'enunciare un simile principio, sono volti, piuttosto, ad indicare il regime applicabile – ossia la prorogatio – qualora una clausola statutaria simul stabunt simul cadent (quale quella sottoposta all'esame del Tribunale nella sentenza sopra richiamata e, diversamente, da quella di TIM) non chiarisca il momento della cessazione degli amministratori dimissionari e di quelli che subiscono l'attivazione della clausola.

La clausola 9.10 dello Statuto prevede invece che la maggioranza degli 2.3.5. amministratori possa venir meno "per qualsiasi causa o ragione" (quindi anche per dimissioni). E stabilisce che in questo caso, solo i restanti (cioè la minoranza residua dei membri) devono considerarsi "dimissionari" e solo con riferimento a questi l'effetto della cessazione si verifica alla ricostituzione del Consiglio. La regola contenuta nell'art. 9.10 è dunque chiaramente alternativa a quella prevista dall'art. 2385 c.c. e prevede che solo la cessazione della minoranza residua degli amministratori sia sospesa sino all'accettazione dei nuovi amministratori chiamati a sostituirli. La maggioranza deve considerarsi invece definitivamente cessata dalla carica. In altri e più chiari termini, in applicazione dell'art. 9.10 dello Statuto, alla data del 24 aprile 2018:

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  • i consiglieri Arnaud de Puyfontaine, Camilla Antonini, Frédéric Crépin, Felicité $(i)$ Herzog, Marella Moretti, Hervé Philippe, Anna Jones dovranno intendersi cessati;
  • i restanti consiglieri Ferruccio Borsani, Lucia Calvosa, Francesca Cornelli, Dario $(ii)$ Frigerio, Danilo Vivarelli dovranno intendersi dimissionari. Tuttavia questi ultimi, e solo questi ultimi, rimarranno in carica sino al rinnovo dell'intero organo che avverrà in occasione dell'assemblea del 4 maggio 2018.

Risulta, pertanto, confermata l'illegittimità della Delibera posto che essa ha oggetto la proposta di revoca (e di sostituzione) di consiglieri che:

  • si sono dimessi con efficacia dal 24 aprile 2018 e in tale data cesseranno dalla carica; $(i)$
  • non rientrano tra i restanti consiglieri da considerarsi dimissionari a far data 24 aprile $(ii)$ 2018, con efficacia posposta alla data dell'assemblea del 4 maggio 2018 (ossia in regime di progatio), in forza della clausola statutaria simul stabunt simul cadent;
  • alla data del 24 aprile 2018 non risulteranno, dunque, in carica neppure in regime di $(iii)$ prorogatio, coinvolgendo tale regime soltanto i consiglieri restanti (Ferruccio Borsani, Lucia Calvosa, Francesca Cornelli, Dario Frigerio, Danilo Vivarelli).

Si aggiunga che proprio la giurisprudenza del Tribunale di Milano richiamata dal CS chiarisce che lo Statuto prevale e che solo in assenza di una regola statutaria specifica si applica il regime legale dettato dall'art. 2385 c.c.

Le dimissioni rassegnate in occasione della riunione del Consiglio di Amministrazione del 22 marzo u.s. saranno tutte efficaci prima dell'apertura dell'assemblea del 24 aprile p.v. e, quindi, non sarebbe legittimo, né possibile, procedere in tale sede alla revoca di chi risulterebbe già dimesso e definitivamente cessato dalla carica.

D'altra parte, tutto il Consiglio va ricostituito, non solo una parte. E va ricostituito con il voto per lista e non con votazione a maggioranza.

Anche fosse vero - il che non è - che la disposizione di cui all'art. 2385 c.c., 2.3.6. prevalga (perché espressione di un principio inderogabile di ordine pubblico) su quella statutaria, l'effetto non sarebbe comunque quello che prospetta il CS.

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O meglio sarebbe vero quanto ammette lo stesso Collegio e, cioè, che tutto il Consiglio sarebbe comunque dimissionario con conseguente obbligo per gli organi della Società (incluso il Collegio Sindacale) di assicurare che venga d'urgenza convocata l'assemblea per garantire senza indugio la nomina dell'intero Consiglio (e non già di una parte dello stesso). In questo frangente, infatti, è l'ordinamento e segnatamente l'art. 2386, comma 4, c.c. che impone, in presenza di una clausola simul stabunt simul cadent, la convocazione d'urgenza dell'assemblea per la nomina di tutto il Consiglio.

Tale obbligo - che, ovviamente, prevale e assorbe, rendendo inutili, se non addirittura illecite, manovre o iniziative di segno diverso - non può soffrire eccezioni e soprattutto non può essere disatteso attraverso parziali o opportunistiche ricostituzioni dell'organo di gestione. In presenza del chiaro disposto dell'art. 2386, comma 4, c.c. (e della sua lettura coordinata, per usare un'espressione cara al CS, con l'art. 9.10 dello Statuto TIM), nessuna nomina parziale è possibile, né lecita. A maggior ragione alla luce della circostanza che, così facendo, si aggirerebbe l'applicazione del sistema di voto previsto (dall'art. 147-ter TUF, nonché dall'art. 9 dello Statuto di TIM) per la nomina del Consiglio di Amministrazione,

disapplicando il voto per lista a favore del voto maggioritario.

Con l'ulteriore paradosso, che all'evidenza la clausola simul stabunt simul cadent intende evitare, che TIM (neppure è chiaro per quanto) avrebbe un Consiglio composto in maggioranza da Amministratori non eletti con il voto di lista: non eletti con il sistema che i soci dell'emittente hanno scelto (fuori da casi eccezionali) per nominare i propri rappresentanti e che, soprattutto, il TUF impone alle società quotate onde garantire una rappresentanza proporzionale della base sociale.

In buona sostanza, l'illegittimità della delibera del CS è ulteriormente comprovata dalla circostanza che la revoca parziale del Consiglio di Amministrazione e la contestuale sostituzione degli amministratori revocati risulta lesiva del diritto dei soci di eleggere i componenti del CdA secondo il meccanismo del voto di lista. Tale illegittimità risulta ancor più evidente là dove si prescinda dalla circostanza che, nel caso in esame, i consiglieri di cui si chiede la revoca sono espressione del socio di maggioranza e si analizzi l'ipotesi inversa in cui i soci privati del diritto di nominare gli amministratori tramite il voto di lista sono quelli di minoranza. È evidente, infatti, che la prospettazione del CS (non operatività della clausola simul stabunt simul cadent e, dunque, possibilità di revoca e integrazioni parziali con votazioni sui singoli candidati) si potrebbe riverberare in negativo sui soci di minoranza ogniqualvolta i consiglieri coinvolti siano espressione di questi ultimi (si faccia l'esempio di un consiglio a 11, nell'ambito del quale 4 consiglieri di minoranza si dimettano unitamente a, in ipotesi, altri 2 consiglieri: là dove si ritenesse che, in detta ipotesi, non decada l'intero consiglio e fosse possibile limitarsi alla sostituzione nominale dei dimissionari senza voto di lista, è evidente che - nella nuova composizione - non vi sarebbe spazio per i designati dalle minoranze).

Sotto altro profilo, ed indipendentemente da quanto appena rilevato, va rammentato che il socio Elliott ha richiesto congiuntamente la revoca di determinati membri del Consiglio di Amministrazione e la contestuale loro sostituzione con altri e certo non sarebbe possibile intervenire sulla richiesta in via per così dire "chirurgica" per salvarne solo una parte.

Vi è infine da chiedersi se in una situazione del tipo di quella di cui si discute possa davvero ritenersi utile la revoca di 6 amministratori, che già hanno rassegnato le loro dimissioni in via irrevocabile, su 15 o se invece si ricada in una di quelle fattispecie che la giurisprudenza del Tribunale di Milano qualificava come espressioni di un (ingiustificabile) spirito di chicane (dal momento che tali amministratori sono tutti di designazione del medesimo socio con il quale il Socio Richiedente ha in atto una sostenuta querelle).

2.3.7. Per le ragioni sopra riepilogate, la Delibera del Collegio Sindacale conduce dunque alla violazione delle disposizioni statutarie e di legge relative alla nomina dell'organo amministrativo di TIM.

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LA LEGITTIMITÀ DELLA DELIBERA DEL CDA DI TIM DEL 22 MARZO 2018 3.

È proprio per evitare una siffatta violazione che il CdA del 22 marzo 2018 ha invece doverosamente e legittimamente ritenuto di non accogliere le richieste di integrazione dell'OdG di Elliott, in quanto relative a delibere con oggetto illecito e comunque impossibile.

Infatti, l'Assemblea:

  • non potrebbe sostituire 6 amministratori su 15, con una nomina selettiva e "a macchia $(i)$ di leopardo", considerando altresì che gli amministratori che si intendono sostituire saranno già dimessi e dunque irreversibilmente cessati alla data del 24 aprile 2018; e
  • in ogni caso, posto che in questa eventualità la sostituzione avrebbe luogo, in base allo $(ii)$ Statuto, a maggioranza (vedi art. 9.8) e non con il voto di lista, verrebbe violato un fondamentale principio statutario e di legge, con grave pregiudizio per tutti i soci e il mercato.

Conseguentemente, il CdA di TIM ha doverosamente e legittimamente deliberato di convocare un'assemblea ad hoc (per il giorno 4 maggio 2018) ai fini dell'integrale rinnovo dell'organo consiliare, nella quale l'elezione dovrà aver luogo sulla base di liste di candidati in conformità allo Statuto.

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